Santena, presentazione dell’Epistolario di Cavour. La relazione della prof. Rosanna Roccia

Santena – 12 novembre 2012 – Di seguito, la relazione integrale della professoressa Rosanna Roccia, riferita durante la presentazione dell’Epistolario di Cavour, avvenuta ieri, domenica 11 novembre nel salone diplomatico del complesso cavouriano, alla presenza del ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo.

In un articolo apparso sul “Corriere della Sera” (9 agosto 1997) Lalla Romano citava un aforisma del suo amato Joubert: “Sono gli uomini che fanno i luoghi”. Verità inconfutabile perché senza gli uomini la geografia non è luogo ma spazio. A fare di uno spazio un “luogo” (ossia a imprimerne e a caratterizzarne il senso) è la vita che vi si vive, sono i sentimenti che ne scaturiscono alimentando quella che ancora Lalla Romano chiamava “la scienza dei ritorni”: la scienza su cui Pavese costruì la poetica del mito come rivelazione dell’essere.

Tutto questo sembrerebbe così estraneo alla concretezza di Cavour: estraneo alle esigenze economico-politiche – e dunque strumentali – a cui l’uomo-Cavour, secondo la più prevedibile “vulgata”, corrisponderebbe. (Vorrei però sommessamente ricordare il nobile e rovesciato contrappasso con cui il poeta Carlo Bertocchi scriveva in una sua lettera all’amico Giorgio Caproni. “La poesia, da’ retta, non è con Mazzini, ma con Cavour”…).

Ma per tornare ai luoghi, ai luoghi fatti di presenza, credo sia bene evidenziare che Santena fu per Cavour un luogo, e un luogo molto speciale: di memoria, di raccoglimento, di respiro, di conforto, di famiglia, e anche di silenzio, di complicità, di agio; un “buen retiro” capace di restituire energie e di alimentare emozioni, senza perdere di vista le necessità dell’ora e i disegni delle più geniali “tessiture”.

Luogo del ritorno, Santena è la terra sacra che di Cavour serba le spoglie.

È parso dunque naturale scegliere questo luogo, così emblematico e unico, per annunciarvi gli esiti del cinquantennale lavoro della Commissione Nazionale per la pubblicazione dei Carteggi del Conte di Cavour, che nel palazzo juvarriano dell’Archivio di Stato di Torino ha la sua sede ufficiale.

Nell’Archivio di Santena è custodita la prima sgrammaticata letterina del “contino Camillo” giunta nelle nostre mani: essa risale alla primavera del 1815; nell’Archivio Storico del Ministero degli Esteri a Roma è conservato l’ultimo telegramma firmato Cavour,  spedito il 2 giugno 1861, la vigilia del dramma. Tra i due documenti epistolari scorre il fiume in piena delle missive scritte o ricevute dal conte nell’arco di quarantasei anni di vita. Un patrimonio cospicuo e di grande interesse, pubblicato in parte in vecchie edizioni non sempre affidabili, ora raccolto nell’edizione nazionale dell’Epistolario di Camillo Cavour, del quale vale riepilogare brevemente la storia.

Le lettere cavouriane, specie quelle di carattere politico riservatissime, indirizzate a sovrani e principi, ministri e ambasciatori, emissari segreti e banchieri, nel fervore rievocativo seguito alla scomparsa repentina dello statista erano state oggetto di subitanee frenetiche indagini. All’edizione di un primo nucleo pubblicato nel 1862 a cura di Domenico Berti a Torino e di Charles de La Varenne a Parigi, erano seguite ulteriori raccolte, tra le quali le sillogi di Luigi Chiala in sei volumi (1883-1887), di Nicomede Bianchi (1885), di Amédée Bert (1889), di Edmondo Mayor (1895), di Luigi Cesare Bollea (1919), e altre minori venute alla luce quando molti personaggi menzionati da Cavour, o che erano stati in relazione con lui, non avevano ancora abbandonato la scena. Per lunghi anni quelle edizioni, nonostante evidenti infedeltà e incompletezze, fornirono agli storici materia di studio. Chiala, benemerito campione di manipolazioni, omissioni e datazioni arbitrarie, è addirittura ancora oggi fruito da studiosi pigri o distratti e da illustri cultori della storia che inspiegabilmente non si avvalgono degli strumenti aggiornati.

Della necessità di assicurare alla fruizione testi assolutamente fedeli agli autografi si fece carico, agli albori del Novecento, la Commissione Nazionale per la pubblicazione dei Carteggi del Conte di Cavour istituita nel 1913 da Giovanni Giolitti e da questi riattivata nel 1920, il cui progetto iniziale, di rintracciare «tutte le lettere edite ed inedite» dello statista «dalla precoce adolescenza alla morte immatura», dovette essere tosto rinviato a motivo della mutata situazione politica.

Non potendo fare «affidamento» su una «larga, efficace» partecipazione alla ricerca né in Italia né soprattutto all’estero, la Commissione deliberò di limitare per il momento l’indagine agli Archivi di Stato accessibili, ripartendo i carteggi in ampi fondi monotematici, «separati» e «indipendenti», «riallacciabili in fine con un indice generale». Sicché tra il 1926 e il 1954 videro la luce i quattro volumi del Carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, i due volumi relativi alla Questione romana negli anni 1860-1861, i tre volumi su Cavour e l’Inghilterra (che accolsero inoltre in Appendice lo scambio epistolare tra Cavour e i coniugi Circourt), il volume del Carteggio Cavour-Salmour e i cinque volumi dedicati alla Liberazione del Mezzogiorno e alla formazione del Regno d’Italia. Complessivamente, quindici volumi cui, in qualità di collaboratrice esterna e poi di relatrice della Commissione nazionale, pose mano la studiosa torinese Maria Avetta, la quale nel 1956 aprì inoltre con garbo uno squarcio sulla vita intima del conte, dando alle stampe la raccolta delle Lettere d’amore, lettere che ella stessa aveva ritrovato nell’Archivio  Cavour di Santena, già depurate da mani pietose.

Alla compilazione del previsto Indice generale analitico dei Carteggi risorgimentali dedicò invece le energie giovanili Carlo Pischedda, il quale nel 1961 consegnò alle stampe un dotto strumento a corredo dei quindici volumi riediti dalla  casa Zanichelli di Bologna in occasione del centenario dell’unificazione italiana. Presentato a Santena il 6 giugno 1961, questo sedicesimo volume di apparati riscosse il plauso autorevole di Luigi Einaudi, il quale, assurto alla presidenza della Commissione Nazionale Cavouriana, aveva intanto dato impulso al primitivo grandioso progetto editoriale.

L’Epistolario di Camillo Cavour, oggi giunto all’epilogo  grazie all’impegno profuso per oltre quarant’anni, con sapienza e pervicacia, dal già ricordato Carlo Pischedda, mio maestro e mentore, nel solco del quale dal gennaio 2005 ho proseguito «in solitaria» il lavoro, si compone di 21 volumi in 34 tomi di complessive 16.652 pagine, il primo venuto alla luce nel 1962, l’ultimo finito di stampare il 6 giugno 2012. Inizialmente stampati da Zanichelli, furono poi continuativamente affidati alla sobria eleganza della casa editrice Olschki di Firenze, editrice pur anche delle anastatiche del I e II volume, ristampati nel 2007, quale omaggio a Pischedda, a cura della benemerita Associazione Amici della Fondazione Cavour di Santena, fervida animatrice di iniziative culturali e presenza vivificante di questa nobile dimora.

L’Epistolario accoglie circa 8600 lettere, private, confidenziali o particulières  scritte da Cavour tra il giugno del 1815 e il giugno del 1861, correlate a poco meno di 7000 responsive di corrispondenti vari, per un totale di circa 15.600 missive. Dalla silloge sono di regola escluse sia la quantità incalcolabile di dispacci stilati dagli uffici, quantunque siglati dallo statista, sia la miriade di missive approdate sul suo tavolo di lavoro prive tuttavia di nessi con le lettere scritte da lui. Tali documenti avrebbero ingigantito l’opera senza rivelare né l’azione personale del conte, né il carattere suo, né gli umori e gli intrecci segreti del gioco politico.

La diaspora degli autografi cavouriani, tanto fragili quanto preziosi e appetibili, compresi quelli risparmiati dalla furia distruttiva di eredi e amici votati alla salvaguardia della sacralità dell’icona, impose a monte una logorante ricerca a trecentosessanta gradi, proseguita nel tempo. Ai ripetuti appelli lanciati nel secondo dopoguerra da Luigi Einaudi per mezzo della stampa mondiale, rinnovati dai successivi presidenti della Commissione – Luigi Salvatorelli, Alberto M. Ghisalberti,  Rosario Romeo, Emilia Morelli, Carlo Pischedda, Giuseppe Talamo – risposero positivamente sin dall’inizio le Americhe, la Russia, il Giappone; il lavoro di scavo negli archivi pubblici e privati d’Italia e d’Europa, ancorché assai fruttuoso, fu invece talora ritardato dalla rigidità della burocrazia e dalla cronica penuria di fondi: e, se dal collezionismo sino all’ultimo non sono mancate segnalazioni preziose, alcuni fortilizi custodi di memorie risorgimentali sono rimasti sino alla fine impermeabili alle istanze della cultura storica, che trae alimento dalla pubblicazione delle fonti.

Quanti e quali suggestioni può offrire un Epistolario così ponderoso e importante? Costantino Nigra, nella premessa alla raccolta delle lettres inédites tra Cavour e i Circourt  pubblicata nel 1894, affermò: «Le lettere del conte di Cavour… parlano forte e chiaro… Che cosa vi si potrebbe aggiungere?…  le qualità (dell’autore), la sua attività prodigiosa, la sua perspicacia, la sua verve, la finezza del suo spirito…, la chiarezza del suo pensiero, la sua fede salda e incrollabile nella libertà, il suo patriottismo ardente e consapevole, la sua indipendenza di pensiero e di giudizio… si specchiano nella sua scrittura». Ed Ezio Visconti, curatore della silloge Cavour agricoltore data alle stampe nel 1913, ribadì: le lettere di Cavour «sono vive e animate: mostrano audacie e impulsi», rivelano un «carattere generoso, fiero, adamantino…, basta poca pratica per riconoscere da qualche riga la mano che scrive, poiché si ritrova sempre di lui la percezione profonda, netta, senza preconcetti nell’esame delle situazioni». Entrambi concordarono: «Le lettere di Cavour bastano a se stesse; non hanno bisogno di commenti».

Ciò è vero: ma entro i limiti di un approccio informato. Allo scopo di offrire non soltanto all’élite degli studiosi ma anche a una fruizione più diversificata e più larga uno strumento rigoroso e compiuto, la Commissione preposta all’edizione nazionale, mentre non rinunciò a elaborare regole che superassero gli arbitri altrimenti introdotti, stabilì dunque di dotare ciascun documento epistolare di un apparato sufficiente di note miranti alla segnalazione delle fonti e all’identificazione sia degli episodi più oscuri sia degli innumerevoli personaggi citati, nonché alla ricostruzione dell’intreccio dei dialoghi. L’acribia dei curatori – diretti a lungo dal più volte ricordato Carlo Pischedda – ha reso così accessibile il patrimonio di un epistolografo eccezionale qual fu Cavour, dalla prima infanzia alla maturità. Il XXI volume (trentaquattresimo tomo dell’opera) fungerà da bussola per orientarsi nel mare magnum delle missive, contenendo esso gli indici generali: degli incipit delle lettere di Cavour, dei destinatari con relativa cronologia, nonché dei nomi e dei toponimi.

Questi in sintesi i dati “tecnici” della grande impresa editoriale.

Mi sia però concesso aggiungere alcune brevi considerazioni sullo strano «mestiere» del curatore di epistolari di tal genere: mestiere che, in bilico tra la filologia e la storia, è al tempo stesso «troppo» e «troppo poco». Troppo poco, perché questo tipo di curatela «è una fatica da benedettino che sminuzza la materia e impedisce… di spaziare in sintesi brillanti»; troppo, perché seguire l’autore delle missive «a misura di giornata» impone sforzi immani, dacché, parafrasando Talamo, si è investiti della responsabilità di far «durare nel tempo» l’edizione. Poter tuttavia accompagnare passo dopo passo i pilastri della nostra storia, le cui azioni hanno valore universale, poter entrare in punta di piedi nella loro intimità, poterli interrogare a tu per tu è un’esperienza intellettuale esaltante e unica, un privilegio: un privilegio che, dal primo mio timido approccio nel 1980, ha scandito gli ultimi trent’anni della mia vita.

Anni laboriosi, alla scuola severa di maestri insigni, quali Pischedda e Talamo, che  ricordo con deferente affetto e gratitudine.

All’edificazione del “monumento di carta” eretto a Cavour hanno contribuito altri allievi: Clotilde Rivolta, Susanna Spingor, Maria Luigia Sarcinelli, Elena Mangosio, come me, hanno avuto il privilegio di condividere financo con Pischedda la curatela di alcuni volumi; Serena Sgambati, con un gruppo via via più esiguo, ha condiviso con intelligenza e dedizione l’onere delle ricerche. A loro, e ai molti studiosi, amici e colleghi, che hanno portato negli anni il loro prezioso tassello rivolgo un grato pensiero: e un grazie doveroso rivolgo ai colleghi della Commissione Nazionale cavouriana, Carlo Ghisalberti, Romano Ugolini, Giovanni Silengo e ai rappresentanti nella stessa dello Stato, promotore dell’iniziativa coraggiosa a salvaguardia della memoria di Cavour, padre fondatore della Nazione. Soprattutto ringrazio la Compagnia di San Paolo, che ha permesso, con il suo sostegno, di portare a compimento l’opera, e il Centro Studi Piemontesi, che ha svolto l’indispensabile ruolo di supporto e di tramite con l’editore Olschki.

Un grazie rivolgo infine a tutti i convenuti, e soprattutto alla Fondazione Cavour, nella persona del suo esimio Presidente, che ha voluto organizzare a Santena questa solenne presentazione, onorata dalla presenza del Ministro, professor Francesco Profumo.

Santena, 11 novembre 2012

                                                                                   Rosanna Roccia

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